BAMBINI E TECNOLOGIA: QUALE E’ LA DOSE GIUSTA?

BAMBINI E TECNOLOGIA: QUALE E’ LA DOSE GIUSTA?

Siamo ormai abituati a vedere bambini piccolissimi che giocano con dispositivi elettronici di vario tipo. I genitori e gli adulti hanno spesso nelle loro mani questi oggetti, ed è un gesto naturale che li porgano a loro, come è nella natura degli scambi tra esseri umani. Ciò che ignoriamo è, però, che gli strumenti modificano la nostra struttura cognitiva e anche il modo in cui vediamo la realtà. Il contatto  stretto con  gli strumenti ha caratterizzato la nostra evoluzione, già ai primordi. Gli studi antropologici ci spiegano come il  bipedismo, che ci ha portato a camminare su due “zampe”, ha fatto sì che le mani potessero essere usate, ad esempio, per fare gesti, costruire, indicare luoghi o cose, e questo è stato l’avvio del linguaggio e della funzione simbolica del cervello, che ci ha resi animali unici nel pianeta e superiori a tutti gli altri, capaci di produrre cultura. Non possiamo pensare che, fornire un cellulare o un videogioco, o non farlo, sia la stessa identica cosa. Studi scientifici e ricerche hanno ormai accertato la correlazione negativa tra il tempo passato davanti alla tv e/o l’uso dei video-giochi e un pessimo andamento scolastico. Le spiegazioni sono molteplici, ma, per non cadere in un terrorismo ideologico o una sorta di luddismo nei confronti del progresso o della tecnologia, occorre fare chiarezza su alcuni concetti di psicologia dell’età evolutiva. In primo luogo occorre distinguere l’età a cui ci riferiamo. Fino ai due anni, il bambino sviluppa le sue strutture cognitive attraverso i sensi e il movimento. L’uso di dispositivi non permette al bambino di conoscere la realtà e di sviluppare quindi adeguatamente la sua intelligenza in quanto utilizza delle abilità che non gli servono. Ha bisogno di toccare per conoscere e per capire concetti quali vicino/lontano, alto/basso che non può sperimentare sfiorando lo schermo con un dito. Se il bambino si annoia, non è un male perché ciò lo si sprona a trovare modi nuovi di giocare e lo pone in un atteggiamento attivo e reattivo nei confronti del mondo e delle persone. E’ sicuramente più rilassante e rassicurante vedere il bambino calmo e attento davanti ad uno “schermo”, si evitano situazioni di conflitto e pericoli, ma occorre sapere che quel tempo è un tempo perso dal punto di vista evolutivo.  A. Spitzer, nel suo saggio famoso “Demenza Digitale”, spiega con dati alla mano, questo concetto, dimostrando che rischiamo di rendere il cervello delle future generazioni affetto da una sorta di “demenza” perché alcune aree e connessioni neurali vengono poco sollecitate e possono anche ridursi. Dopo i due anni è possibile proporre attività con dispositivi di vario genere, consapevoli che non sviluppano l’intelligenza, così come è vissuto nell’immaginario collettivo. Questo è un grave fraintendimento che ha portato anche a chiedere i danni ad alcune aziende che hanno messo sul mercato prodotti quali DVD Einstein, venduti ai genitori con la falsa promessa che potessero contribuire a fa diventare  super-intelligenti i loro figli,  mentre è stato dimostrato che ha provocato disturbi linguistici. Questo genere di tecnologia proposta ai bambini dell’età della scuola dell’infanzia, non sviluppa l’intelligenza, in questi aspetti così “mitici”, proprio perché questa  facoltà necessita di poter esprimere, quanto più possibile, la fantasia, il movimento e il problem-solving in situazioni di concretezza. Nell’età della scuola primaria si può proporre l’uso del pc,  anche di video-giochi, nella consapevolezza, come si è descritto precedentemente, che l’abilità con la quale i bambini destreggiano questi strumenti non è di per sé un fatto straordinario perché sono gesti, ripetitivi ed intuitivi che non sviluppano, ad esempio, né la capacità di calcolo, né di logica, né rafforzano la memoria. Occorre anche considerare che questo tipo di attività virtuale corrode la capacità di concentrazione e l’auto-controllo, nonché l’empatia, capacità che sono essenziali nell’apprendimento. La domanda che potrebbe sorgere spontanea è chiedersi per quale motivo, in un mondo dominato dalla tecnologia informatica e digitale, ci si debba preoccupare che i figli da piccoli la usino poco. La risposta può essere sintetizzata semplicemente affermando che questa è uno strumento e non un fine e tanto meno un gioco. Se noi confondiamo questi aspetti ne faremo un uso sbagliato. Gli adolescenti attuali, che hanno vissuto la prima ondata di utilizzo sfrenato di smartphone senza controllo, non sono in grado, infatti, di utilizzarlo adeguatamente come mezzo per studiare. Proprio perché ormai la tecnologia dell’informazione e della comunicazione fa parte del nostro mondo, occorre viverla come un fatto “normale” ed essere consapevoli che per utilizzarla non è necessario avere particolari capacità. Stupirsi del fatto che un bambino di tre anni sappia usare alcune funzioni del cellulare non fa di lui un genio, anzi, se questo bambino perderà troppo tempo a giocarci invece che azzuffarsi, correre e saltare con i suoi amici, potrà diventare sempre meno capace ad interagire con gli altri e studierà con molta fatica e pochi risultati. Concludendo si può affermare che il rapporto con la tecnologia, si può riassumere in un problema di “dosi” ossia di quantità e qualità del tempo trascorso ad utilizzarla.

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